Affacciato sull’antica via Torino, al n. 8, oggi occupato dall’Istituto delle Figlie di Nostra Signora della Misericordia, si erge uno dei più bei palazzi di villeggiatura della Savona del Cinquecento: il palazzo Spinola-Lamba Doria.
Eretto nel XVI secolo, nel 1624 l’edificio era di proprietà di Paolo Spinola. Era dunque confinante con palazzo Ferrero (l’odierna villa Cambiaso), come, tra l’altro risulta da un atto rogato il 10 dicembre 1624 dal notaio Marco Antonio Castellani e relativo alla costruzione di un muro, realizzata dal mastro muratore savonese Giovanni Brilla del fu Alessandro e commissionata da Francesco Ferrero, separante i giardini che circondavano i due edifici. Paolo Spinola, sposato con Cornelia Pavese e poi con Aurelia Gavotti, fu padre di Nicolò (che fu rettore della chiesa parrocchiale di San Pietro), Giovanni Battista, Francesco (che fu canonico e prevosto della chiesa Cattedrale di Savona e morì cinquantenne nell’aprile del 1647), altro Francesco e Gerolamo. Nel Settecento il palazzo passò poi ai Lamba Doria, che ne mantennero il possesso fino alla metà dell’Ottocento. Nel catasto del 1798 la villa era così indicata: «Palazzo di villeggiatura a tre piani e pian terreno con giardino attiguo, situato in località Santa Marta. Proprietario: fratelli Brancaleone e Cesare Lamba Doria. Valore: Lire 6.250». L’edificio era confinante a Nord con l’odierna villa Cambiaso, all’epoca posseduta dalla nobile Eugenia Spinola Pallavicino, a Sud e a Est con il palazzo e i terreni di Onorato Gentil Ricci e a Ovest con la strada pubblica, ossia con l’odierna via Torino. Il palazzo Lamba Doria era dotato di un elegante giardino, valutato 1.828 Lire del tempo, situato ad Ovest della costruzione.
I Lamba Doria possedevano nella zona altre proprietà: una casa ad un piano, tuttora esistente, affacciata sulla vecchia piazza Santa Marta, là dove un tempo esisteva l’omonima chiesa (di fronte al vecchio passaggio a livello che segnava il confine tra via Piave e via Torino); una casa ad uso di fittavolo con terra ortiva e una casa di due piani con scuderia e cantina al pian terreno situate entrambe vicino al medievale ponte dello Sbarro; e una casa ad un piano e fabbrica di sapone al pian terreno, con piccolo piazzale alle spalle, posta poco distante dal ponte dello Sbarro (che si ergeva all’inizio dell’odierna via Piave, a sormontare il ruscelletto che scendeva lungo la valletta San Lorenzo).
Il 19 agosto 1858 il palazzo Lamba Doria subì gravi danni a causa di una disastrosa alluvione del Letimbro: le acque che invasero l’edificio arrivarono fino ad un’altezza di due metri e mezzo da terra, devastando gran parte dei locali, riempiendoli di ghiaia e terriccio fino all’altezza di un metro dal suolo e rovinando in gran parte il pavimento.
Il palazzo Lamba Doria, dopo l’alluvione, si presentava in condizioni talmente pessime che, di lì a poco, i suoi proprietari, i Marchesi Leone e Marco Lamba Doria, decisero di venderlo a suor Maria Giuseppa Rossello (Savona, 27 maggio 1811 – Savona, 7 dicembre 1880): cessione che fu effettuata, al prezzo di 30.000 Lire, l’8 marzo del 1859 in una sala della casa madre della Misericordia. La futura Santa pagò immediatamente ai due fratelli 5.000 Lire, versando, con l’interesse del 5%, 15.000 Lire nei due anni successivi e le rimanenti 10.000 Lire dopo quattro anni.
Non appena Suor Maria Giuseppa Rossello entrò in possesso della struttura si preoccupò immediatamente di risanarla e abbellirla. Come scrisse nel 1885 Francesco Martinengo nella sua storia della Santa, infatti, «il palazzo era tutto ancora umido e fangoso al pian terreno per l’acque dell’inondazione che vi erano entrate quasi a tre metri». Così, non appena la Santa entrò in possesso dello stabile, che aveva «il giardino cintato e la Cappella a pian terreno», chiamò i muratori, i falegnami, i fabbri per eseguire le opportune riparazioni e fece procurare panche, tavoli, sedie e utensili da cucina sottratti in parte dalle suppellettili della casa madre. Al maestro Antonio Brilla ordinò di eseguire una statua ritraente la Madonna della Misericordia da collocarsi nella Cappella. In poco più di un mese il palazzo poteva dirsi sistemato e mutava così nome in Casa della Divina Provvidenza.
Ampio, arioso, l’edificio è a tre piani ed era un tempo dotato di un elegante giardino dominato da grandi pergolati, vasi e riquadri di fiori. In netto contrasto con le concezioni più in voga nel Rinascimento, secondo le quali i palazzi di villeggiatura dovevano esistere come pure emergenze costruite nell’ambiente suburbano, isolati nella campagna, la facciata principale di accesso alla villa fu costruita direttamente aperta sulla strada (ossia sull’odierna via Torino) dove non esisteva a quel tempo alcun elemento paesistico di rilievo (nè giardini, orti o appezzamenti di terreno coltivato). In ogni caso, si possono tuttavia individuare nell’aspetto complessivo della costruzione molti elementi che ci permettono di riconoscere in essa il piú classico rispetto verso i canoni della tipologia edilizia che contraddistinguevano l’aspetto dei palazzi nobili tra il XVI ed il XVII secolo. All’interno della villa, ad esempio, si può ancor oggi osservare un doppio sistema di scale, con il grande scalone che, dal salone di ingresso, conduceva un tempo al piano nobile, ed una piccola e stretta scala di servizio che permette il collegamento tra loro di tutti i piani dell’edificio. Tipica dell’architettura di villa cinquecentesca è, infine, la distribuzione interna degli spazi, imperniata sui vani centrali, siano essi logge o saloni.
Di particolare interesse è il citato scalone in marmo con i gradini in ardesia nera collocato nell’ingresso. L’ampia volta lunettata così come le colonne e gli altri elementi della scalinata nel suo complesso denunciano chiaramente l’origine cinquecentesca della struttura architettonica qui presente.
Sopra lo scalone, in una nicchia della parete, è una bella ed antica statuina della Madonna, molto venerata dalle suore. Secondo quanto testimoniava nel 1885 Francesco Martinengo, Suor Maria Giuseppa Rossello, entrando per la prima volta nel palazzo nel febbraio del 1859, vedendo questa statuina avrebbe infatti esclamato: «O Santa Vergine, a guardia di questa casa a buon conto ci siete Voi: ebbene Voi non ve la lasciate sfuggire!». Pronunciate queste parole, la Santa avrebbe dunque comunicato a Monsignor Alessandro Ottaviano Riccardi dei Conti di Netro, Vescovo di Savona di quel tempo, la decisione di acquistare l’edificio.
A pian terreno, a fianco dell’ingresso è poi la grande Cappella privata del vecchio palazzo Lamba Doria, oggi totalmente irriconoscibile rispetto a come doveva presentarsi alla fine del Settecento. I restauri operati successivamente al 1859 hanno infatti completamente modificato l’ambiente originario, cancellando i resti degli affreschi che, sicuramente, dovevano ornare le pareti del vano. Così come le altre nobili dimore di campagna affacciate su via Torino (palazzo Centurione-Grillo Cattaneo, palazzo Gentil Ricci, palazzo Ferrero-Colonna-Cambiaso e lo scomparso palazzo Beccalla-Vegerio-Spinola-Balbi di cui sopravvive la sola Cappella ubicata al n. 114 rosso impreziosita dagli affreschi di G. A. Ratti), anche palazzo Lamba Doria possedeva infatti una sua Cappella privata che doveva contenere arredi e decorazioni di un qualche pregio. Sull’altare della Cappella, come si è già detto, la Santa Rossello fece collocare una statua della Madonna della Misericordia appositamente realizzata dallo scultore savonese Antonio Brilla (1813 – 1891).
Sulla parete orientata in direzione Nord, in alto, è visibile una finestrella comunicante con una stanzetta situata al primo piano del palazzo, da cui essi potevano assistere alle celebrazioni, quando la Cappella della villa veniva aperta dai Marchesi rendendone possibile l’accesso agli abitanti del borgo, in occasione delle festività; stando seduti in questa stanzetta, dunque, da una posizione elevata, i membri della nobile famiglia proprietaria della villa poteva assistere alle funzioni religiose che vi venivano tenute senza mescolarsi con gli altri fedeli, a rimarcare ancor di più il profondo distacco di sangue e di ceto tra la classe aristocratica ed il resto della popolazione del borgo, composta per lo più da contadini. La stanza, oggi adibita a ripostiglio, oltre ad avere ancora l’originale pavimento seicentesco, presenta anche alcuni interessanti affreschi settecenteschi in buono stato di conservazione nonché una elegante tribuna decorata con marmi.
Nel cortile dell’edificio poco resta dell’originario grande giardino della villa, a causa dei già citati lavori attuati nella seconda metà dell’Ottocento.
Giuseppe Milazzo