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Il palazzo Gentil Ricci in via Torino

A destra, in primo piano, villa Gentil Ricci in una foto della metà del Novecento.
A destra, in primo piano, villa Gentil Ricci in una foto della metà del Novecento.

Affacciato sull’antica via Torino, al n. 4, oggi occupato dall’Istituto delle Figlie di Nostra Signora della Misericordia, si erge uno dei più bei palazzi di villeggiatura della Savona del Cinquecento: il palazzo Gentil Ricci.
Le prime notizie sull’esistenza della villa risalgono al testamento rogato dal notaio Federico Castrodelfino il 25 gennaio 1501: con quell’atto il palazzo con le case annesse fu lasciato in eredità da Domenico Gentil Ricci, figlio del fu Imperiale, al figlio Andrea; nel 1563, poi, la costruzione risultava essere di proprietà di Imperiale Gentil Ricci. Nel catasto del 1798 la villa era così indicata: “Casa da fittavolo e da padrone con terra vignata, seminativa ortiva e ad alberi da frutta ed ulivi, situato in località Santa Marta (inabitabile). Proprietario: Onorato Gentil Ricci. Valore: Lire 13.246”. Nei primi anni del secolo XIX, gli eredi di Onorato Gentil Ricci, l’ultimo proprietario del palazzo, ne cedettero il possesso ai Marchesi Gavotti.
L’edificio, come si è detto, sorse come villa di campagna della nobile famiglia savonese dei Gentil Ricci. In netto contrasto con le concezioni piú in voga nel Rinascimento, secondo le quali i palazzi di villeggiatura dovevano esistere come pure emergenze costruite nell’ambiente suburbano, isolati nella campagna, la facciata principale di accesso al palazzo Gentil Ricci fu costruita direttamente aperta sulla strada (ossia sull’odierna via Torino) dove non esisteva a quel tempo alcun elemento paesistico di rilievo (nè giardini, orti o appezzamenti di terreno coltivato). In ogni caso, si possono tuttavia individuare nell’aspetto complessivo della costruzione molti elementi che ci permettono di riconoscere in essa il piú classico rispetto verso i canoni della tipologia edilizia che contraddistinguevano l’aspetto dei palazzi nobili tra il XVI ed il XVII secolo. All’interno della villa, ad esempio, si può ancor oggi osservare un doppio sistema di scale, con il grande scalone che, dal salone di ingresso, conduce al piano nobile, ed una piccola e stretta scala di servizio che permette il collegamento tra loro di tutti i piani dell’edificio. Tipica dell’architettura di villa cinquecentesca è, infine, la distribuzione interna degli spazi, imperniata sui vani centrali, siano essi logge o saloni.
A pian terreno, a fianco dell’ingresso è poi la bella Cappella privata del vecchio palazzo Gentil Ricci, oggi totalmente irriconoscibile rispetto a come doveva presentarsi alla fine del Settecento. I restauri operati tra la fine dell’Ottocento e la fine del Novecento hanno infatti completamente modificato l’ambiente originario, cancellando i resti degli affreschi che, sicuramente, dovevano ornare le pareti del vano.
Dell’elegante giardino dominato da grandi pergolati, vasi e riquadri di fiori nonché dell’estesa proprietà terriera che, all’inizio dell’Ottocento, si stendeva fino arrivare all’attuale via Solari non rimane invece più nulla. Si può però ancora individuare una piccola torre, incorporata in un altro edificio situato tra via Falletti e via dei Del Carretto e che, quindi, doveva far parte di una costruzione posta all’interno della proprietà dei Gentil Ricci.
Sulla famiglia proprietaria della villa, i Gentil Ricci, possediamo alcune notizie, tratte dalle cronache cittadine del XVII e XVIII secolo.
Sappiamo per certo che una delle Cappelle della vicina chiesa di San Francesco da Paola in via Torino era posta sotto il patronato dei Gentil Ricci. Nella Cappella di cui erano titolari, i Gentil Ricci, come costume del tempo, avevano la loro sepoltura di famiglia. Abbiamo poi testimonianza, dagli studi del Torteroli, di una tela del pittore genovese Luciano Borzone (1590 – 1645) raffigurante San Francesco da Paola, esistente nell’omonima chiesa, realizzata su commissione proprio della nobile famiglia Gentil Ricci, poi collocata nel Duomo di Savona, dopo la chiusura al culto della chiesa nel 1799, e sistemata nella prima Cappella di sinistra, dove si trova tuttora. Sempre su commissione dei Gentil Ricci si sarebbe poi trovata all’interno della chiesa anche una splendida “Resurrezione di San Lazzaro”, opera del pittore Giulio Cesare Procaccini (Bologna, 1570 – Milano 1625), esistente a metà Ottocento nel palazzo di Legino del Marchese Nicolò Gavotti.
Un grave fatto di sangue avvenne nella sala al primo piano di palazzo Gentil Ricci il 27 febbraio del 1655, la sera del sabato di Quaresima: in quel luogo, infatti, fu assassinato Giacinto Gentil Ricci, il proprietario dell’edificio di quel tempo, figlio del famoso poeta Pier Gerolamo Gentil Ricci (1563 – 1650) che, tra l’altro, nel 1600 aveva finanziato i lavori di restauro della vicina chiesa di San Francesco da Paola. L’uomo fu sgozzato con un poderino insieme alla sua serva da due suoi manenti o fittavoli che lavoravano nell’orto annesso al palazzo: uccidendolo, essi gli sottrassero una discreta cifra, ammontante a 16 doppie e 47 scudi d’argento. La scoperta del delitto fu effettuata la mattina dopo dal dottor Giovanni Giancardi, suocero del figlio di Giacinto, messo sull’avviso dai Padri Minimi di San Francesco da Paola che, non vedendo il nobile proprietario del palazzo recarsi come sua abitudine nella loro chiesa per assistere alla Santa Messa, si erano insospettiti. Le mani del cadavere del nobile, si osservò, mostravano numerose ferite, segno che questi aveva opposto una tenace resistenza ai suoi assassini; era riuscito, fra l’altro a strappare una faldetta della casacca del piú anziano dei suoi assalitori. I due autori dell’omicidio, originari di Albisola, erano consanguinei, essendo l’uno zio e l’altro nipote: il primo, tra l’altro, si scoprì poi, era già stato imputato per altri delitti. I due furono poi arrestati a Parma e subito dopo ricondotti a Savona. Qui, dopo aver subito un regolare processo, furono impiccati il successivo 31 maggio nell’orto davanti alla casa dove avevano commesso l’efferato omicidio. Prima di essere impiccato, al piú vecchio venne anche mozzata la mano destra: quella con cui aveva commesso il delitto.
Dal testamento di “Onorato Gentil Ricci quondam Pier Gerolamo quondam Giacinto” del 6 dicembre 1752 apprendiamo che in quell’epoca l’edificio ospitava numerosi quadri, opera dei migliori nomi delle scuole pittoriche genovesi. Fra le numerose tele, vi si ricordava, tra l’altro, un bel ritratto del grande poeta savonese Gabriello Chiabrera.
Altre notizie di un qualche rilievo risalgono invece all’epoca napoleonica. Nell’aprile del 1796 l’edificio e il giardino retrostante furono occupati dalle truppe francesi che, in quell’occasione, si abbandonarono a pesanti devastazioni, tanto da rendere il palazzo inabitabile per un certo periodo. Nell’estate del 1800, poi, dovendosi trasferire dall’Ospedale San Paolo i numerosi soldati francesi che vi erano ricoverati, i membri della nuova Municipalità cittadina proposero loro di essere sistemati nel borgo Superiore, all’interno del vecchio convento dei Minimi di San Francesco da Paola e nel medesimo palazzo già di proprietà della famiglia Ferrero, ora posseduto dai Colonna. Di fronte alle loro titubanze, fu poi deciso di alloggiarli nel vicino palazzo di proprietà di Onorato Emanuele Gentil Ricci, sempre in località Santa Marta: qui furono sistemati ben cento letti. Il trasferimento fu effettuato il 30 agosto del 1800.
Onorato Emanuele Gentil Ricci era entrato in possesso della villa in virtú del suddetto testamento del 1752. Egli era figlio di Pier Gerolamo Gentil Ricci di Giacinto e di Paola Ferrero. Aveva un fratello, Domenico Imperiale.
Nel 1887 il palazzo Gentil Ricci era di proprietà dei Marchesi Gavotti: questi ultimi l’avevano ricevuto per via ereditaria nei primi anni del secolo XIX, quando, alla morte di Onorato Gentil Ricci, l’ultimo proprietario dell’edificio scomparso senza lasciare eredi, esso era passato a sua sorella Angela Maria Gaspara, che aveva sposato Gerolamo Gavotti.
Il 19 agosto 1858 il palazzo subì gravi danni a causa di una disastrosa alluvione del Letimbro: le acque che invasero l’edificio arrivarono fino ad un’altezza di due metri e mezzo da terra, devastando gran parte dei locali, riempiendoli di ghiaia e terriccio fino all’altezza di un metro dal suolo e rovinando in gran parte il pavimento.
Altri gravi danni derivarono all’edificio dal terremoto del 23 febbraio 1887: a causa del sisma il palazzo finì per ritrovarsi in condizioni pessime, «tanto da minacciar rovina». Una situazione talmente grave da indurre poche settimane dopo, il 30 aprile 1887, i Marchesi Gerolamo e Nicolò Gavotti, figli del defunto Luigi Gavotti, a decidere di vendere il palazzo: esso fu acquistato al prezzo di 20.000 Lire da una società costituita dal Canonico Vincenzo Galleano (Direttore delle Monache della Provvidenza), da Carolina Albertazzi (Suor Sebastiana), Antonietta Gazzano (Suor Pellegrina), Veronica Dameri (Suor Costanza), Teresa Poirè (Suor Onorata), Domenica Muratorio (Suor Crocefissa) e Luigia Moccachiodi (Suor Basilide). L’atto di vendita fu rogato dal Notaio Luigi Tissoni nella casa del Sacerdote Angelo Acquarone, posta in vico del Vento n. 9, alla presenza, in qualità di testi, del medesimo Angelo Acquarone e di Gerolamo Aonzo.
Alla fine del 1890, l’edificio venne profondamente ristrutturato, annettendovi ed incorporandovi anche una piccola casa, precedentemente utilizzata come fabbrica di paste. Al termine dei lavori, l’edificio risultò essere così composto da un piano terreno costituito da dieci vani, da un primo piano di nove vani, da un secondo piano di sette vani e da un sottotetto ad un vano; il terreno ortivo esistente sulla parte retrostante dell’edificio venne poi trasformato in cortile ed annesso alla clausura del locale.
L’antico palazzo Gentil Ricci, con la morte dell’ultima proprietaria, venne poi ceduto alle suore Rosasco, Carlini e Rolandi con rogito del Notaio Giuseppe Oxilia del 28 giugno 1920. Successivamente, il 27 luglio 1938, con la scomparsa anche dell’ultima di queste tre suore, l’edificio passò in proprietà all’Istituto delle Figlie di Nostra Signora della Misericordia, già proprietarie del vicino palazzo Lamba Doria, acquistato nel marzo del 1859 dalla Santa Maria Giuseppa Rossello.
Giuseppe Milazzo

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