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La crisi del Santuario di Savona: un luogo simbolo figlio di nessuno

Ora chiude anche il negozio di pasta fresca. E la borgata (apparentemente la più amata dai savonesi) sta per trasformarsi in un deserto.
Stiamo parlando del Santuario – uno dei luoghi più belli della Liguria e, probabilmente, dell’Italia intera – condannato ad un lento (e resistibile) declino.
Una basilica di raro fascino, una storia di fede che aveva appassionato l’Europa del Cinquecento, una piazza dalle proporzioni perfette e dagli edifici magnifici, una locanda (oggi chiusa) tra le più antiche del mondo, un posto immerso nella natura che in primavera esplode di colori. Eppure, nonostante questo, la desertificazione della borgata continua.
Quali le ragioni?
Due, fondamentalmente.
La prima: alle centinaia di savonesi che si recano ogni anno al Santuario per la processione del 18 marzo, del Santuario stesso sembra importare poco. A parte sfilarvi davanti quel giorno, in compagnia del vescovo e dei notabili locali.
La seconda: la chiesa è officiata dai sacerdoti diocesani che ne promuovo gli aspetti religiosi, ma non è di proprietà della curia, bensì del Comune, che in base ad antichi accordi, costantemente rinnovati, la concede in gestione alle Opere sociali (che deve occuparsi dell’ospizio, dei musei, dei beni annessi e, ovviamente, della stessa basilica). La sensazione, dunque, è che nessuno la senta veramente propria.
Che il Santuario sia davvero figlio di nessuno?
 
 

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